La Terra dei Re

Benvenuti nel podcast Etruskey, un viaggio che vi porterà alla scoperta di una delle culture antiche più affascinanti. In questa prima puntata, dal titolo “Terra dei Re”, percorreremo un sentiero che ci porterà non solo alla scoperta di un patrimonio culturale e territoriale unico nel suo genere, ma ci farà capire anche quali importanti eredità ci hanno lasciato e perché, ancora oggi, non possiamo non definirci anche noi “Etruschi”.

Il nome con il quale questo popolo indicava sé stesso era Rásna o Rasénna, ma abbiamo testimonianza del fatto che i greci li conoscevano con il nome di Tyrrhenói/Tyrsenói, mentre i Romani li chiamavano Etrusci o Tusci.
Ancora oggi, in numerosi ambiti, l’eredità che ci hanno lasciato i nostri antenati è piuttosto visibile, basti pensare alla toponomastica per accorgerci che gli etruschi hanno dato il nome ai due mari che bagnano la nostra penisola: il Tirreno, che deriva proprio dal nome con cui i greci li conoscevano, e l’Adriatico, da Hàdria/Hàtria, un porto etrusco che costituiva il punto di arrivo delle rotte commerciali provenienti da Oriente.
Dall’etrusco derivano anche molti nomi di città italiane come Tarquinia, che allora suonava Tarchna e quello della stessa Cervéteri che si pronunciava Kháire/Kháisra, per citare solo alcuni esempi. Ma la lingua italiana conserva anche diverse parole di origine etrusca, arrivate fino a noi attraverso il latino: la parola Persona, che significava sia maschera che essere umano, trae origine da Phérsu, il crudele demone mascherato che in diverse tombe tarquiniesi appare rappresentato nell’atto di aizzare cani feroci contro prigionieri di guerra.
Anche il suffisno “-erna” è una loro eredità, quindi quando usiamo parole come taverna, cisterna o lanterna, senza saperlo, rendiamo omaggio al popolo etrusco!

Gli Etruschi hanno vissuto tra il IX e il I secolo a.C. in un'area geografica chiamata Etruria, corrispondente all'incirca alla Toscana, all'Umbria occidentale e al Lazio settentrionale e centrale. Sulla loro origine e provenienza è fiorita una notevole letteratura: fin dall’antichità, si riteneva che gli etruschi fossero una popolazione migrata dal Vicino Oriente e talvolta confusi con la mitica popolazione dei Pelasgi. In realtà, oggi sappiamo che si tratta di una cultura autoctona.
Con la vittoria dei Romani a Veio, che oggi conosciamo con il nome di Formello, nel 396 a.C. inizia un lungo periodo di lotte e sconvolgimenti politico-territoriali che, in circa un secolo e mezzo, portarono tutte le città etrusche a far parte dello Stato romano. Per fortuna, esistono ancora tracce della cultura e della tradizione etrusca “non contaminata”, come è possibile vedere nella Necropoli di Cerveteri.

La Necropoli della Banditaccia è in assoluto la più antica e la più estesa di tutta l'area mediterranea. Si chiama così perché alla fine dell'Ottocento i terreni della zona furono "banditi", cioè affittati con bando pubblico dai proprietari di Cerveteri a favore della popolazione locale.
Il sito archeologico presenta caratteristiche uniche, tanto che nel 2004 è stato inserito, insieme a quello di Tarquinia, nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. La Necropoli infatti si estende per
circa due chilometri e racchiude un complesso tombale tra i più grandi, con circa 20 mila tombe. Oggi fa parte del Parco archeologico di Cerveteri e Tarquinia, Istituto dotato di autonomia speciale di rilevante interesse nazionale.
L’intera area si estende su un terreno pianeggiante ricco di tufo, parallelo all’area urbana. Qui ci sono tombe di diverso tipo e collocazione storica che vanno dal VII al I sec. a.C.

Le più antiche risalgono all’Età del Ferro e si presentano come semplici fosse destinate ad accogliere defunti inumati o, più diffusamente, pozzetti scavati nel tufo in cui venivano conservate le urne in terracotta.

L’importanza della Necropoli etrusca di Cerveteri è dovuta non solo alle sue dimensioni, ma anche al fatto che fornisce indicazioni sulla vita degli Etruschi e sulla struttura delle loro case. Le tombe sono infatti costruite imitando le case “dei vivi”, caratterizzate da diversi ambienti con porte e finestre sagomate, colonne e pilastri, mobili e vasellame in metallo prezioso. Gli etruschi credevano che ci fosse vita nell’aldilà e per questo motivo immaginavano che i loro famigliari avrebbero trovato confortante ritrovare oggetti legati a momenti felici, come banchetti, feste, giochi e gare sportive che accompagnavano il defunto verso l’eternità.

Accanto alle straordinarie testimonianze archeologiche, ciò che rende unico il sito della Banditaccia è anche il panorama suggestivo che abbraccia sia il mare, sia la rigogliosa vegetazione che caratterizza tutta l’area. E per proseguire questo viaggio alla scoperta degli usi e dei costumi della civiltà etrusca, bisogna osservare i loro monumenti funebri. Uno tra tutti è la Tomba degli Scudi e della Sedie che rappresenta l’esempio più significativo di imitazione di una casa aristocratica del VI sec. a.C.
La particolarità di questa tomba, appartenente ad una famiglia gentilizia, è che dalle pareti sono stati ricavati sei letti e due sedie-trono con schienali ricurvi e poggia-piedi.
Anche le “tombe del comune” sono sepolcri costruiti da importanti famiglie del IV sec. a.C. Tra queste, forse la più importante è il grande ipogeo della Famiglia Tamsnie, dove furono ritrovati due sarcofagi, di cui uno con il coperchio a forma di tetto appartenente ad un magistrato di “Cáisri”. Si tratta di una delle poche documentazioni grafiche del nome etrusco di Caere, ovvero Cerveteri.

A proposito delle famiglie gentilizie, e grazie anche ai reperti che ancora oggi custodiamo, possiamo conoscere meglio anche gli usi e i costumi delle donne etrusche. Sui coperchi di urne funebri, infatti, spesso venivano rappresentate le donne, fra le braccia del proprio marito o da sole. Osservando i loro volti viene da chiedersi come fossero realmente queste nobili signore. Le fonti letterarie raccontano di donne estremamente emancipate rispetto alle donne greche e romane della stessa epoca, tanto da essere fortemente criticate dagli scrittori ellenici e romani proprio per la loro libertà e per il loro inserimento nella vita pubblica.
La donna etrusca iniziò ad uscire dalle mura domestiche, allontanandosi in parte dai compiti della cura della famiglia e della casa, già dal VI sec. a.C.
Affiancavano il proprio marito nell’accoglienza degli invitati, bevevano e mangiavano assieme agli uomini e partecipavano a gare sportive, senza che ciò fosse considerato sconveniente nella propria comunità.
I corredi funerari sono una fonte incredibile di informazioni sulle abitudini quotidiane delle donne etrusche. Alcuni ritrovamenti mostrano strumenti per la tessitura e la filatura, considerato una delle attività femminili dell’epoca. Altri ritrovamenti, invece, mostrano una grande attenzione all’estetica e in particolare alla cura dei capelli. Inoltre, sempre osservando le tombe sepolcrali, si può ipotizzare che le donne etrusche viaggiassero da sole, senza l’accompagnamento del proprio marito o del proprio padre, cosa che nella cultura greca e romana non era permesso fare.
Purtroppo, i reperti tramandati fino ad oggi, permettono di ricostruire la personalità e la vita quotidiana della classe femminile nobiliare, lasciando al mistero moltissimi elementi sulla condizione femminile popolare, di cui non si hanno sufficienti tracce.

Gli etruschi erano un popolo che amava molto lo sport, come testimoniano diverse raffigurazioni, anche se preferivano vederlo piuttosto che praticarlo.
Pugilato, corsa, salto in lungo, lotta, lancio del disco, ippica: sono solo alcuni degli sport che pratichiamo oggigiorno, ma che venivano già praticati dagli etruschi più di duemila e cinquecento anni fa.
In particolare, il pugilato sembra essere stato lo sport più in voga, anche se occorre precisare che le conoscenze che abbiamo oggi sono molto più limitate a quelle che possiamo avere per il mondo greco e latino. Questo per una motivazione molto semplice: le testimonianze scritte degli etruschi sono pochissime.
Quel che di certo sappiamo riguardo allo sport etrusco, è la dimensione pubblica delle manifestazioni. In diverse rappresentazioni di gare e competizioni che si trovano nell’arte etrusca è possibile, infatti, vedere raffigurato un pubblico che assiste all’evento. Certo, nell’antichità era frequente che membri delle classi sociali più elevate organizzassero competizioni sportive per un pubblico ristretto, magari come intrattenimento durante un banchetto, ma i giochi spesso assumevano anche una dimensione collettiva.
Negli affreschi della Tomba delle Bighe di Tarquinia, per esempio, si distinguono chiaramente gruppi di spettatori, sia uomini che donne, che assistono ad alcune competizioni sportive: scene di lotta, con atleti e cavalli.
Come nelle moderne gare sportive, anche gli etruschi premiavano i vincitori con delle sostanziose ricompense. E la ricompensa era molto più moderna di quanto si possa immaginare: se oggi chi vince una gara sportiva viene premiato con una coppa, presso gli etruschi si otteneva come premio un tripode, un oggetto che serviva per supportare un contenitore per le conserve di cibo, e che poteva essere anche di grande pregio artistico.
Merita di essere ricordato un particolare gioco etrusco di cui abbiamo già parlato in precedenza. Il gioco del Phersu, in cui un personaggio mascherato - Phersu, appunto - aizza un cane legato ad una corda contro un uomo seminudo, con la testa dentro un sacco ma armato di bastone.
In molte raffigurazioni, questo personaggio riporta vistose ferite inferte dalla bestia: non sappiamo però se il gioco si concludesse con la morte del contendente, molto spesso un prigioniero condannato a morte, oppure se si trattasse semplicemente di uno spettacolo violento. Alcune testimonianze fanno riferimento al fatto che tramite una gara sportiva potevano essere rimosse le maledizioni. Ad ogni modo, gli studiosi hanno visto nel gioco del Phersu, l’antenato dei giochi gladiatorii dell’antica Roma.

Tra tradizioni nobiliari e manifestazioni ludiche, gli Etruschi furono anche grandi esperti di ingegneria idraulica. Dotati di tecnologie estremamente innovative per l’epoca, hanno sfruttato le loro conoscenze per migliorare le zone da loro occupate. I loro interventi hanno riguardato le bonifiche di tratti di aree paludose, la salvaguardia del territorio da possibili inondazioni, la facilitazione della navigabilità delle vie fluviali e la deviazione dei corsi d’acqua. Hanno poi costruito reti di canalizzazione per l’irrigazione, acquedotti realizzati nelle rocce e sistemi di scorrimento dell’acqua piovana.
Un esempio, tuttora visibile, è rappresentato dalla Cloaca Massima oggi ancora funzionante e testimonia con grande eloquenza questa loro abilità. Inoltre, abbiamo testimonianze storiche che gli Etruschi, insieme ai Greci, insegnarono ai Romani come dividere e misurare lotti di terreno.

Gli Etruschi non furono solo abili ingegneri, ma anche grandi pittori, ottimi ceramisti e gioiellieri. Una testimonianza della loro fiorente e ininterrotta tradizione pittorica la si trova a Tarquinia, più precisamente nella Necropoli dei Monterozzi, dove questo enorme patrimonio non solo artistico ma anche storico rappresenta uno spaccato sulla vita quotidiana degli Etruschi ed è stato inserito dal 2004 nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco. La Necropoli si trova su un pianoro, chiamato Monterozzi per la presenza di tumuli in forma di piccoli monticelli di terra, appunto i “monterozzi”, chiamati così nel dialetto locale. Si sviluppa parallelamente alla costa tirrenica per una lunghezza di sei chilometri e una larghezza di circa tre chilometri.
Nella realizzazione degli ornamenti, invece, da grande popolo di orafi, gli Etruschi mostrano alti livelli di maestria artigianale usando una grande varietà di tecniche e strumenti, che variavano secondo l’effetto decorativo desiderato, evidenziando le tecniche di filigrana, goffratura, stampa e incisione.
La granulazione è stata la tecnica che caratterizza la maggior parte della gioielleria etrusca ed una delle più complesse e affascinanti tecniche decorative dell’arte orafa, utilizzata ancora oggi. Consiste nella saldatura di piccole sfere o grani ad una base generalmente di lamina, seguendo motivi o disegni prestabiliti. Un esempio della loro bravura è la grande fibula aurea proveniente dalla Tomba Regolini - Galassi di Cerveteri, che possiamo definire come un’antica versione della spilla da balia, oggi esposta nel Museo Gregoriano Etrusco in Vaticano.
Nel campo della ceramica, invece, svilupparono la tecnica della cottura a riduzione, che permise loro di produrre splendidi esemplari del bucchero, il genere forse più rappresentativo della ceramica etrusca, ovvero un vaso che si presenta sempre nero e lucido, anche in frattura, non solo in superficie: una tecnica innovativa per produrre manufatti “in economia”, che avessero lo stesso aspetto di quelli “più nobili”, in metallo.

Tra opere ingegneristiche, splendide ceramiche e gioielli, termina il nostro viaggio tra la cultura etrusca, ma solo per il momento. Presto torneremo con una nuova puntata che indagherà l'enogastronomia etrusca, intesa come tratto distintivo dell'ospitalità e della cultura del territorio e scopriremo insieme le eccellenze della cucina dell’Etruria meridionale! Insomma, percorreremo insieme le antiche vie del gusto.

La Terra dei Re
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